Il ghetto di Roma è considerato il più antico del mondo occidentale.
Fu il papa Paolo IV ad ordinarne la costruzione nel 1555 revocando tutti i diritti concessi agli ebrei romani e dotandolo, originariamente, di soli due accessi per entrare ed uscire.
La vita per gli ebrei era molto dura ed era sottoposta ad una serie di obblighi e divieti: obbligo di risiedere all’interno del ghetto e di portare sempre con sé un segno distintivo di appartenenza alla comunità ebraica, proibizione di esercitare ogni tipo di commercio ad eccezione di stracci e vestiti e di possedere beni immobili.
Gli ebrei fecero di necessità virtù diventando, grazie anche a questi divieti, scaltri commercianti di abbigliamento e abili uomini d’affari nel campo dei prestiti.
Con il passare degli anni il ghetto ha allargato sempre più i propri confini territoriali fino alla “liberazione” del 1849 quando, a seguito della proclamazione della Repubblica Italiana, fu abolita la segregazione. Nel 1870 gli ebrei furono equiparati ai cittadini italiani e nel corso degli anni le antiche stradine e i vecchi edifici furono demoliti per lasciare il posto a nuove costruzioni e alla realizzazione di tre nuove vie: via del Portico d’Ottavia, via Catalana e via del Tempio.
All’alba del 16 ottobre 1943 i nazisti circondarono il quartiere e catturarono oltre 1.000 ebrei prelevandoli a forza dalle loro abitazioni. Due giorni dopo i prigionieri furono caricati sui vagoni di un treno diretto ad Auschwitz: dei 1.023 deportati solo 16 sopravvissero allo sterminio.
Dagli Atti degli Apostoli (At 9,1-2)
1Saulo, spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote 2e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via.
1Tm 1, 12-17. Prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
12Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, 13che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, 14e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
15Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. 16Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
17Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Mentre i primi capitoli degli Atti degli Apostoli sono concentrati sulla figura di Pietro, già a partire dal cap. 9 il personaggio centrale diventa Shaul/Paolo. Tale centralità si trasferirà poi nella storia: attraverso le lettere da lui scritte o a lui attribuite, egli lascerà una notevole impronta nel Cristianesimo.
Benché per quasi due millenni Paolo sia stato visto come un oppositore del Giudaismo e un denigratore della Torah, le acquisizioni più recenti hanno profondamente modificato l’interpretazione della sua figura e del suo ruolo, mostrando come egli fosse profondamente legato alle sue radici.
L’incontro con il Messia Gesù sulla via di Damasco – che lui non definisce mai una “conversione” – sconvolge dunque l’esistenza di Shaul e da quel momento egli sente, come un antico profeta, l’urgenza della missione verso le genti, affinché la salvezza elargita da Dio attraverso il suo Messia crocifisso raggiunga gli estremi confini della terra.
Paolo, da vero figlio di Abramo, riteneva che in Abramo dovessero essere benedette tutte le famiglie della terra. Paolo non è un convertito, è un convertitore.
Egli vuole creare un nuovo popolo che si aggiunga, non che si sostituisca a Israele.
Pensava inoltre che i non ebrei non fossero tenuti ad osservare tutti i precetti della Torah.
Egli ha compreso che la vita religiosa dei seguaci del Messia Gesù provenienti dalle genti non poteva limitarsi all’osservanza di alcuni precetti.
Vivere secondo lo spirito comporta l’abbandonare le opere della carne, ossia i peccati, “rivestirsi” nel Messia-Gesù di un uomo nuovo, far penetrare profondamente nella propria coscienza, fede, speranza e carità, da comunicare concretamente nel servizio CON altri.
Quali opere della carne vorresti abbandonare e non riesci?
Cosa significa per te "rivestirti" di Gesù?
Fede, speranza carità: la prima ci rende credenti, la seconda credibili, la terza creduti. Tu che sei?
Cosa comunichi concretamente nel servizio CON gli altri?
Scrivi la tua prima lettera a Timòteo: rendi grazie per aver convertito il cuore verso chi avevi escluso nella tua vita.
Imbusta la lettera, inserisci mittente e destinatario, incolla il francobollo e imbuca presso un ufficio postale.
Alla luce di quanto letto, vissuto, riflettuto, condiviso… inserite qui le parole che sintetizzano l’esperienza.
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